SULLA RAPPRESENTAZIONE DEL MALE

Sulla rappresentazione del male*di Matteo Mulè.

(una breve riflessione). 

Pochi giorni fa ho portato a termine una lettura che avevo da tempo in programma, abbandonata in un piccolo anfratto della mia libreria (la polvere, quasi, la rendeva irriconoscibile) e che ho riscoperto per caso. Si tratta dell’opera Gomorra di Roberto Saviano, edito da Mondadori, di cui si ha una grande conoscenza della serie, ma scarsa del libro in sé (chi ha tempo o desiderio di leggere?).

Prima di iniziare a discutere del tema di questo articolo, occorre fare una piccola precisazione intorno all’opera: Gomorra non è un romanzo! Viene venduto come tale e anche su wikipedia viene inserito all’interno della categoria, ma non possiede nessuna delle caratteristiche del romanzo.        Si tratta, semplicemente, di un reportage giornalistico, preciso nei dati e negli argomenti, sulle vicende di camorra che interessarono le zone di Napoli e provincia dagli anni ’80 sino ai primi anni duemila. Non è mio interesse parlare degli episodi analizzati nell’opera, ma di un tema su cui l’autore viene spesso attaccato: la rappresentazione del male. Si può criticare Saviano per diverse ragioni, ad esempio per la strumentalizzazione della letteratura che lui fa (a tal proposito rimando a questo articolo di Claudio Giunta:

(https://claudiogiunta.it/2024/08/la-scuola-dovrebbe-insegnare-la-virtu/) oppure anche per alcuni opinioni politiche, ma di certo non si può negare l’importanza della sua battaglia contro la criminalità organizzata condotta attraverso la scrittura (giornalistica, ripeto), del suo desiderio di alzare la testa e di ridare dignità al territorio dove è cresciuto. Una delle critiche principali mosse allo scrittore campano dalla stampa, dagli abitanti della Campania e, talvolta, da alcuni magistrati è quella di aver diffamato un territorio, di offrire una rappresentazione univoca di Napoli e della provincia casertana, dipinte esclusivamente nei loro aspetti negativi. A questo si aggiunge il fatto che Saviano viene accusato spesso di aver sdoganato dei comportamenti criminali, soprattutto attraverso la serie tv tratta dall’omonima opera, rendendo la vita del camorrista un qualcosa a cui aspirare, causa dei comportamenti violenti dei giovani di oggi e di quelle che comunemente vengono definite baby gang, le quali, a detta di molti, non farebbero altro che imitare gli atteggiamenti visti sullo schermo. Falso. Ragionare così è troppo semplice, veloce ed immediato. Non porta ad affrontare la vere ragioni che si celano dietro alla violenza, come la povertà e il disagio sociale di alcuni territori. Non è un caso forse che Cosa Nostra, ‘ndrangheta e la Camorra si sviluppino nelle regioni non solo più povere d’Italia, ma anche dell’Europa.

La politica incapace di far fronte a queste situazioni, sposta l’attenzione e di conseguenza la colpa su chi ne parla. In questo modo lo scrittore o l’intellettuale vengono assediati dalla stampa fedele al governo, la quale preferisce attaccare chi rappresenta il male (attribuendo, quindi, la causa del male stesso), piuttosto di chi, al contrario, dovrebbe incaricarsi di affrontare e di risolvere le circostanze di malessere sociale, ovvero la politica. Questo meccanismo avviene da sempre, dai tempi della dittatura fascista e anche nella prima Repubblica, solamente che oggi giorno, con lo sviluppo della macchina social, è diventato iù rapido ed efficace. Ricordo, a tal proposito, un saggio scritto da Calvino nel 1955

intitolato il Midollo del leone(1), all’interno del quale lo scrittore ligure, oltre a diverse considerazione sulla letteratura del suo tempo, riflette sul tema della rappresentazione del male:

Non sono la decadenza, l’irrazionalità, la crudeltà, la corsa alla morte dell’arte e della letteratura che devono farci paura; sono la decadenza, l’irrazionalità, la crudeltà, la corsa alla morte che leggiamo continuamente nella vita degli uomini e dei popoli, e di cui l’arte e la letteratura ci possono far coscienti e forse immuni, ci possono indicare la trincea morale in cui difenderci, la breccia attraverso cui passare al contrattacco. […] Non scambiamo la terribilità delle cose reali con la terribilità della cose scritte, non dimentichiamo che è contro la realtà terribile che dobbiamo batterci anche giovandoci delle armi che la poesia terribile può darci.(2) 

Lo scrittore raccontando un fatto lo rende reale e una volta che è divenuto tale non può più essere ignorato. Non si può sempre nascondere la polvere sotto il tappeto, soprattutto quando quest’ultimo diventa troppo gonfio da poter essere ignorato. Chi scegli di compiere questo percorso è consapevole del fatto che sulla sua testa non verrà mai posta una corona di alloro, ma, anzi, sarà costretto ad indossare una corona di spine e a scontrarsi con il potere che, al contrario, dovrebbe sostenere la sua battaglia.

Queste iniziative, indipendentemente dal colore politico, andrebbero incoraggiate, soprattutto perché sono le prime che portano ad un vero e proprio cambiamento. Solamente conoscendo il male possiamo iniziare a dargli forma e a contrastarlo. Vorrei concludere con ultima citazione, meglio far parlare quelli bravi, mi si perdoni un po’ di codardia, ma non posso comprarmi ad un gigante come Leopardi, il quale lui stesso osservava: «Colpa non perdonata dal genere umano, il quale non odia mai tanto chi fa il male, né il male stesso, quanto chi lo nomina».(3)

Note :

1. Italo Calvino., Il midollo del leone, in Una pietra sopra, Milano, Mondadori, 2024, pp. 5-23.

2 Ivi, cit. p. 23.

3 G. L., Zibaldone, Milano, Feltrinelli, 2024, cit. p. 457.

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