Il Matteotti giurista e Parlamentare, contro la violenza Fascista.
Nello sciame di violenza che portò il fascismo, uno degli esempi più noti fu l’omicidio Matteotti del 10 giugno 1924, avvenuto per mano di un gruppo di squadristi fascisti collegati al vertice di governo guidato da Mussolini. La natura abnorme di quel delitto rischia, talvolta e suo malgrado, di abbreviare in un solo punto la figura di Matteotti, militante e giurista più complesso, che il martirio civile ha culminato rivelandolo giusto in parte. Studente di diritto all’Università di Bologna, fu poi avvocato e studioso di procedura penale, oltreché politico socialista e parlamentare. Negli scritti più tecnici e negli interventi politici ricorreva il senso e la crucialità del “limite”, come presidio di garanzie e di legalità parlamentare. Contro le formulazioni normative indefinite e l’elasticità delle soluzioni ermeneutiche, Matteotti richiamava all’ordine di sistema l’esercizio discrezionale della funzione giurisdizionale del giudice, perché «è da preferirsi nelle leggi l’interpretazione più esatta e rigida e far posto alle esigenze dell’equità solo con le dovute riforme legislative». In via minoritaria per l’epoca e contro il codice di rito allora vigente, affermava la qualità di “parte” del PM, rappresentante di un interesse pubblico o collettivo, ben sostenuta dalla «divisione dei poteri su cui si fondano i moderni regimi costituzionali e la divisione delle funzioni».
La sua attività d’opposizione al fascismo andava oltre l’antagonismo partitico e non si limitò al discorso che tenne il 30 maggio 1924, quando denunciò i brogli, le intimidazioni e le violenze fasciste, contestando i risultati elettorali.
Matteotti rappresentava ciò che oggi è il patrimonio genetico della Repubblica italiana, connesso al valore costituzionale del Parlamento e alla legalità, che impediscono ogni forma di “giustizia privata” e di compressione illiberale dei diritti. E tanto servì a renderlo, come Sciascia fa dire al giudice di “Porte aperte”, «tra gli oppositori del fascismo, il più implacabile non perché parlava in nome del socialismo, che in quel momento era una porta aperta da cui scioltamente si entrava ed usciva, ma perché parlava in nome del diritto. Del diritto penale».
Ottimo e opportuno perché mai dimenticare perché i mostri ritornano